Coltiviamo emozioni
Intervista a Roberto Bruni: coniugare innovazione e agricoltura attraverso la “Rivoluzione verde”

Intervista a Roberto Bruni: coniugare innovazione e agricoltura attraverso la “Rivoluzione verde”

Coltivatori di Emozioni incontra il professore Roberto Bruni, agronomo, etnomologo, ricercatore e divulgatore, attivo come consulente del settore dell’agricoltura integrata e nella Difesa delle colture. Il professore Roberto Bruni è uno dei volti della Rai ed in particolare di Linea Bianca. In ogni puntata incontra i territori italiani per raccontarne le eccellenze.

Tra qualche giorno, il 5 giugno, si celebra la Giornata Mondiale dell’Ambiente; tema di questa giornata sarà il “Ripristino degli Ecosistemi”, un confronto che avrà l’obiettivo di prevenire, fermare e intervenire sui danni inflitti agli ecosistemi del Pianeta, cercando di passare dall’uso sconsiderato della natura ad una nuova convivenza più equilibrata e meno dannosa.

Presentiamo Coltivatori di Emozioni al professore Bruni che ne sottolinea la valenza positiva e l’importanza dell’impegno nell’attività di social farming della piattaforma: “Il Farm to Fork mediato, per così dire, dallo Smartphone, rappresenta uno dei driver della nuova “Rivoluzione verde”: una sfida al massimo livello da combattere, uniti ma diversi.”

Una sfida che Paolo Galloso, founder di Coltivatori di Emozioni e Biagio Amantia, co-founder e coordinatore di progetto, hanno raccolto con largo anticipo e in tempi non sospetti, quando parlare di sostenibilità, salvaguardia delle produzioni autentiche e dei piccoli borghi contadini, sembrava quasi una piccola follia. 

Oggi, Coltivatori di Emozioni è una bella realtà che continua a crescere. L’obiettivo, condiviso con 40 aziende agricole partner e con una community di sostenitori, continua ad essere quello di coniugare innovazione e agricoltura tracciando il percorso virtuoso che potrà generare lavoro e benessere, declinando il tema della sostenibilità sia nell’ambiente che nel sociale.

Lo ha sottolineato anche il professore Bruni che prima di rispondere alla nostra intervista ha voluto precisare come “le nuove tecnologie applicate all’agricoltura, quella che definiamo 4.0 o giù di lì, siano da intendersi a diversi livelli: droni, satelliti con camere multispettrali a infrarosso e robot certo ma anche social farming e interazione

Professore Bruni, come valuta lo ‘stato di salute’ della nostra agricoltura?

Se per “nostra” si intende “L’Agricoltura Italiana” allora mi viene da rispondere: Dipende! Questo in sintonia con la consolidata percezione dell’Italia come un paese unico e diverso. I differenti approcci, culturale, linguistico, climatico, geologico, orografico, da sempre producono una pletora di contesti differenti che nell’ambito agricolo si manifestano da una parte con la ricchezza delle produzioni tipiche e biodiverse, dall’altra nelle profonde differenze negli approcci produttivi in termini di efficienza, redditività e sostenibilità. Ancora una volta l’agricoltura come summa ed esempio della realtà ci racconta delle potenzialità di un paese, spesso non espresse al meglio delle loro possibilità, distratte e deviate da opposte tendenze. Quindi in sintesi oggi, come da sempre, abbiamo dei comparti che rappresentano lo stato dell’arte a livello planetario in termini di tecnologia e qualità mentre altri soffrono per inefficienze, miopie e mentalità assistenziali legate ad un approccio obsoleto fuori dalla storia della politica agraria. 

Prodotti agroalimentari: quanto conta oggi puntare su identità e autenticità?

Conta moltissimo soprattutto oggi nell’epoca della globalizzazione. Nel mercato unico globale non si gioca una partita sola. A fronte degli effetti negativi con i quali ci confrontiamo quotidianamente, tra pandemie, introduzioni di patogeni ed insetti da areali lontani, prezzi non sostenibili con competitor dal costo del lavoro al ribasso a scapito di sicurezza, dignità umana e sostenibilità ambientale, esistono degli ambiti che proprio dalla globalità possono trarre consistenza e sfuggire dal ruolo di nicchia. In una dimensione di mercato allargata possono essere collocati in maniera ottimale prodotti unici dal valore aggiunto conferito da territorialità e qualità irriproducibili altrove.

I giovani, l’agricoltura e i piccoli borghi: ritiene che possa partire da questi elementi un Nuovo Rinascimento Italiano post Covid?

È una scommessa! Nessuno ha la sfera di cristallo a parte sedicenti sciamani troppo spesso non del tutto disinteressati. Guardando indietro e a distanza si possono trovare purtroppo molte storie di sogni infranti. Ma tutto questo non deve essere da freno per l’iniziativa dei giovani e per i sognatori di buona volontà. È necessario piuttosto diffondere la consapevolezza che il mestiere dell’agricoltore non si improvvisa e che al pari di altri settori sono necessarie oltre alla passione la preparazione e la capacità di reagire flessibilmente alle opposte sollecitazioni di un sistema complesso per sua natura. Il miraggio della fuga dalla città per abbracciare una facile vita a contatto con la natura ha purtroppo a volte come amaro risultato quello della disillusione e dell’insoddisfazione. 

Uno degli assi portanti del Recovery Plan è una maggiore diffusione dell’economia verde: quale ruolo deve assumere il settore agricolo e agro-meccanico italiano per allinearsi ai parametri richiesti dall’Europa?

Recuperare produttività professionalità e competitività. Queste parole nella percezione comune sono diventate sinonimi di un’agricoltura superata e connaturata ad un modello insostenibile. In realtà si tratta proprio dell’opposto. Contrabbandare per modelli sostenibili delle imprese insostenibili, principalmente dal punto di vista economico, rappresenta il primo passo verso l’abbandono e la perdita di territorio sotto il differente ma convergente attacco di cementificazione ed erosione. Anche i sogni di “decrescite felici” sono pericolosi dal punto della sostenibilità ambientale sia a livello locale che mondiale. A livello planetario dieci miliardi di persone da qui a trent’anni dovranno avere cibo a sufficienza per garantire il diritto alla salute e alla convivenza in pace. A livello di produzione nazionale, la mancata sostenibilità economica di un’agricoltura tenuta in piedi con un sostegno economico esterno pur con la compliance della sostenibilità ambientale sarebbe, come è stata finora, la prima causa dell’abbandono di terreni e piccoli paesi. Qualche decennio fa il grido dei giovani era “vogliamo il mondo e lo vogliamo ora” oggi si potrebbe parafrasare “dobbiamo produrre di più e in maniera più sostenibile su meno terra se vogliamo produrre più cibo e più reddito senza perdere suolo a causa di erosione, impermeabilizzazione e deforestazione”. Mi rendo conto che lo slogan perde in sinteticità ed efficacia, ma insomma vogliamo la botte piena e la moglie ubriaca: sostenibilità economica ed ambientale.

Lei viaggia tanto per lavoro: quali differenze e quali le similitudini nelle aziende agricole di Nord, Sud, Isole e Centro Italia?

Penso di aver già risposto a questa domanda. Dipende. Anche se la tendenza dello sviluppo può far propendere per una prevalenza della strutturazione nella parte settentrionale, la richiamata diversità del paese ha diversi gradienti aldilà di quello Nord-Sud per cui anche a livello di professionalità qualità e risultati ci sono delle realtà diffuse in tutto il paese che proprio per questo possono assurgere a modelli per il rilancio di tutto il settore.

Consiglierebbe ad un giovane di intraprendere oggi l’attività di agricoltore?

Certo, ma con la consapevolezza che bisogna farlo con passione preparazione e costanza, le stesse doti necessarie credo, per fare gli astronauti. Insomma, piedi per terra e testa fra le nuvole…Sognatori con radici ben salde nella terra.

Intervista a cura di Tiziana Protopapa

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